di Maria Stella Falco
Con l’intenzione di dedicare altro spazio a Luca Bonaffini su ItaliAccessibile, pubblichiamo una sua bella (e corposa) intervista.
Giovedì 3 dicembre 2015, ore 21 (presso il Teatro Ariston di Mantova), si terrà il concerto-racconto del Cantautore, collaboratore fisso di Pierangelo Bertoli, che in quell’occasione presenterà – insieme a Dario Bellini – il libro/cd a lui dedicato dallo scrittore siciliano Mario Bonanno (La protesta e l’amore. Conversazioni con Luca Bonaffini, Gilgamesh, 2015). Non aggiungo altro, buona lettura!
DOMANDA: Documentandomi sul suo “percorso” artistico, dagli inizi fino ad oggi, mi è naturale definirLa un artista poliedrico. A quindici anni, già appassionato di teatro e disegno, impara da autodidatta a suonare la chitarra. La chitarra l’ha accompagnata durante tutta la sua gavetta, prima dell’incontro col suo Maestro, Pierangelo Bertoli. Mentre la maggior parte dei cantautori e dei discografici non “rispondevano” a chi proponeva le sue canzoni “sui nastrini o sulle musicassette”, si è mai sentito un cantastorie?
RISPOSTA: No. Mi sentivo un ragazzo pieno di problemi e di urgenze. Mi faceva soffrire vedere chi subiva delle ingiustizie e volevo gridarle. La musica, allora, era ancora di moda. Negli anni ’70, imbracciai la chitarra e cominciai a urlare la mia rabbia e il mio amore. I cantastorie facevano altro. Io ero un cantautore. Anzi, mi sentivo così…
D.: Se non avesse incontrato Bertoli…provi ad immaginare per Lei un altro “percorso” intellettuale (non lo definisco “lavorativo” così come Lei non ama definire il suo percorso “carriera”). Perché?
R.: Quello con Bertoli è stato un percorso “intellettivo”, ovvero di “testa”. Non posso immaginare quello che è già stato, posso fantasticare su quello che verrà.
D.: A proposito del Suo incontro con Bertoli (1983), Lei dice che non sa dire se quell’incontro fu voluto dalla Fortuna o dal Destino. Cosa può aggiungere a riguardo? Io non credo ne’ alla Fortuna né al Destino. Preferisco parlare di “coincidenze significative” che in un dato momento della nostra vita ci capitano.
R.: Il caso, allora. Un caso però determinato dalla mia passione e tenacia (che mi ha portato a lui) e dalla sua attenzione (che mi ha scelto). Le coincidenze le lascio a Trenitalia.
D.: Perché Bertoli ha creduto in Lei? Che ricordi ha del periodo in cui Bertoli La “formava” e La “osservava”? Il Maestro non amava produrre, eppure ha prodotto il Suo secondo album: come visse questa opportunità? Poi è diventato il suo “collaboratore fisso”. Ricorda il momento in cui Bertoli Le chiese di scrivere canzoni per lui o insieme a lui. “Improvvisamente”, quel testo mi ha “catturato”, è pieno di “voglia di vivere”…
R.: “Improvvisamente” la scrissi nel 1985, quattro anni prima che lui la scegliesse. Faceva così con molti ragazzi (e non solo ragazzi), perché amava scoprire le cose belle, almeno secondo lui. Io sono stato un privilegiato, lo so benissimo. Gli sono e gli sarò sempre riconoscente. Però, ti garantisco che la scuola è stata dura.
D.: A proposito della canzone “Spunta la luna dal monte” (1991, feat Tazenda, presentata a Sanremo, dove ebbe moltissimo successo). Lei riadattò questo testo, dal sardo all’italiano. Io ho studiato Lettere. Che esperienza è stata, “tradurre”? Mi dirà che troverò questa risposta nel Suo libro “Come nacque Spunta la luna dal monte” (2013). Non vedo l’ora di leggerlo, son contenta di conoscere la Sua storia, artistica. Mi son fatta l’idea che Lei deve molto a Bertoli, ma credo valga anche il contrario…
R.: Bertoli era importante, era un nome e mi scelse. Poi, per sua (e per mia) fortuna, scelse bene. Il testo, lo spiego bene nel libro, lo scrisse lui. Io ero presente e gli diedi qualche piccolo suggerimento, come spesso accadeva quando scrivevamo brani che firmava lui o che firmavo io. Non è una traduzione, è un altro testo con delle affinità concettuali e qualche riferimento. Pierangelo, in una notte (il 6 gennaio 1991), fece un capolavoro. Disse cose difficili, in poche righe, senza ledere la parte sarda, creando una creatura nuova. E la luna splende ancora…
D.: Lei è cantautore, produttore, scrittore e regista teatrale! Se dovesse definirsi in una sola parola…è? Può sintetizzare brevemente la sua produzione, “multiforme” e sempre all’avanguardia, anche “oltre” il “sodalizio” con Bertoli, è “sulla scena” da più di trent’annii, conta collaborazioni illustri (con Flavio Oreglio, Claudio Lolli, ad esempio)… Ho provato a farlo io, ma mi pare sempre di “non citare” qualcosa che lei ritiene fondamentale, nel suo percorso. Secondo me, è sempre magistralmente riuscito a esprimersi al meglio, riproponendo ora in musica, ora a teatro, ora per iscritto, ciò in cui crede, come meglio crede …
R.: Grazie. Però le parole preferisco usarle non per definirmi, ma per scrivere canzoni, copioni o racconti. Io sono l’insieme di tutte le cose che ho fatto e che farò. Un uomo, prima di tutto. Un essere umano fortunato che ama “fare”. Quando vedo qualcosa di compiuto rinasco. E quindi ho un’altra vita davanti…
D.: “Bertoli viveva facendo ciò che sentiva, cantava ciò in cui credeva, facendolo come credeva: con le mani, con la voce, con la testa puliti” Che bella descrizione dell’arte del Maestro, ha un che di teatralità…
R. Era un duro e puro, Angelo. Non si spaventava di nulla e l’unica preoccupazione che aveva era per la sua famiglia. I suoi bimbi, piccoli, erano felici sapendo di avere un papà così forte. Ma lui temeva che, un giorno, venendo a mancare, gli avrebbe tolto quella felicità.
D.: “Pierangelo non è cantabile da chiunque, ma è interpretabile in tante maniere”. Ma che esperienza, umana e professionale, è stata per Lei, scrivere per Bertoli? Testi impegnati, veri, melodici…
R. Personalissimo nel modo di raccontare ciò che scriveva, condivisibile da un’enorme schiera di artisti. Chi ha contenuto e spessore, come Bertoli, è di nicchia e popolare al tempo stesso. Come i grandi leader.
D. Mi scriva qualcosa di Bertoli “uomo di tutti i giorni”, come viveva e affrontava la sua disabilità? Ho apprezzato molto la spiegazione del titolo del suo album omaggio al Maestro: “Sette volte Bertoli” (2014). Sa che io ho scoperto poco tempo fa il fatto che Bertoli fosse disabile? Perciò, tempo fa, decisi di documentarmi. Ho conosciuto Bertoli grazie al remake di “A muso duro” per Italia Loves Emilia (2012)
R. Era tutti i giorni a muso duro. Non mollava mai, sempre disponibile per tutti e innamorato della sua donna (la moglie Bruna) e della sua famiglia. Lavoratore instancabile e padre attento. E, nel mio caso, un maestro molto presente!
D.: “Una vita a muso duro” è il docufilm sulla storia di Pierangelo (di Giancarlo Governi, Regia Silvio Governi, produzione Rai per la serie “Grandi Protagonisti”). Insieme al figlio Alberto, ha parlato di Pierangelo al Festival della Filosofia a Sassuolo, dove il documentario è stato presentato in anteprima. So che andrà in onda a Dicembre, mi sa dire quando, dove? Spero non sarà messo in onda in seconda serata, come capita spesso quando si propongono storie che, in vario modo, hanno a che fare con la cultura e la disabilità.
R.: Non so nulla. Ho partecipato, ma non mi informo sulla diffusione. Al Festival, purtroppo, non c’ero. Ma quando andrà in onda, non me lo perderò sicuramente.
D. Il 3/12, Giornata internazionale delle persone con della disabilità, al Teatro Ariston di Mantova si terrà un concerto-racconto durante il quale presenterà – insieme a Dario Bellini – il libro/cd a Lei dedicato dallo scrittore siciliano Mario Bonanno, “La protesta e l’amore. Conversazioni con Luca Bonaffini” (Gilgamesh). La Prefazione è di Claudio Lolli, mi racconta le vostre collaborazioni? Perché avete scelto questa data per la prima presentazione di questo libro-confessione Mi darà la risposta che mi aspetto, credo. Non vedo l’ora di leggerlo. Tornare in quel teatro, sarà una giornata emozionante, senza autocelebrazioni. Non le piace “autocelebrarsi”, in un’epoca in cui molti lo fanno, forse….
D. Senta, perdoni le mie domande lunghissime, ma so che in quest’occasione si presenterà anche una ristampa dell’album “Il Ponte dei Maniscalchi”, perché per quest’occasione avete scelto di ristampare proprio quell’album (1989), in cui è presente la traccia che dà il titolo al libro?
R.: Lolli entra nella mia musica quando ero adolescente. Tra Bennato e Young s’inserì quel cantautore così difficile, articolato e intellettuale. La mia compagnia, piena di chitarristi, lo aveva idealizzato. Io, inizialmente scompensato, cominciati ad ascoltarlo come una droga. Poi, lo conobbi dopo un concerto, nel 1980. Credevo di avere incontrato Dio in persona. Gli strinsi la mano. Ma, solo dopo molti anni, nel 1998 facemmo un concerto insieme intitolato “La protesta e l’amore”. Da lì, una canzone e un cd insieme, l’anno dopo. Bonanno, fondamentalista del cantautorato italiano, considera quell’album il mio più rappresentativo. L’album s’intitolò “Il ponte dei maniscalchi”. Quindi, quando insieme a Bellini abbiamo pensato a una pubblicazione in occasione dei miei trent’anni di attività, l’ho tirato fuori dal cassetto e ho deciso di regalarlo al pubblico che comprerà il libro di Bonanno. È vero. Non amo autocelebrarmi. Sono vivo e le celebrazioni le faranno i posteri in occasione della ricorrenza dei trecento anni dalla mia scomparsa. Ovvero, tra quattrocento anni
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