di Maria Stella Falco*

paralimpiadi_atletica-586x272
Disabilità e sport paralimpico

Nel 2016, in concomitanza con le Olimpiadi, come di consueto dal 19 giugno 2001, quando è stato firmato un accordo tra il CIO e l’IPC (Comitato Olimpico Internazionale e Comitato Paralimpico Internazionale), si svolgeranno le prossime Paraolimpiadi estive. Queste ultime saranno un’ulteriore e rinomata occasione per molti giovani atleti paralimpici di essere un esempio per tutti, di vivere emozioni e conquistare medaglie!

Prima di descrivere e raccontare (nei prossimi articoli!) alcune discipline paralimpiche – quali il tennis tavolo, la scherma, l’handbike, pallacanestro, il basket – grazie anche a riferimenti di storie personali e agonistiche dei fondatori italiani dell’attività sportiva per disabili e di alcuni atleti italiani paralimpci – mi pare necessario proporre qualche cenno storico sulla correlazione tra la disabilità e lo sport.

L’ interesse per lo sport per persone disabili, con alcuni “tipi” di disabilità, si diffuse a partire dal 1932, quando a Glasgow venne fondata la “Società britannica dei Giocatori di Golf con un braccio solo”. Sempre in quel periodo, Inghilterra cominciarono ad avvicinarsi allo sport persone sordomute.
In una comunicazione alla Società Harveiana di Londra, nel 1934, Gowlland – il comandante della casa di riposo Star and Garter per soldati, marinai ed aviatori disabili – scrisse che si stavano definendo le cure che preparavano la strada a un trattamento migliore per le lesioni midollari ed altre disabilità.
Dunque, già fra le due Guerre si cominciarono a considerare i problemi dell’assistenza infermieristica, anche se non si insegnava ai disabili ad essere indipendenti (mentre oggi, l’attenzione al raggiungimento della “vita indipendente” è un traguardo fondamentale!). Lo sport non faceva parte del programma riabilitativo quotidiano; si limitava ad essere un’attività ricreativa a cui non partecipavano i paraplegici, seppur cominciavano a sopravvivere di più.

L’inserimento di persone disabili – in primis reduci di guerra con lesioni spinali, amputazioni, paralisi cerebrale, poliomielite, cecità – in un contesto sportivo, risale al 1948 ed è dovuto alle idee e alle attività pionieristiche di sir. Ludwig Guttman, neurochirurgo inglese. Impegnato presso l’ospedale di Stoke Mandeville (Aylesbury), già a cominciare dal 1944, durante il difficile periodo della Seconda Guerra Mondiale egli intuì l’importanza della collaborazione attiva del paziente e perciò cercò di creare un ambiente riabilitativo, concreto e sociale, favorevole alla prevenzione e/o alla reazione rispetto a possibili complicanze – psichiche e/o fisiche.

In altre parole, “papà Guttman”, come affettuosamente venne chiamato, sicuramente perché con i suoi pazienti instaurò un rapporto familiare, considerò lo sport un’efficace attività riabilitativa tout court. Per questo, pensò e realizzò programmi di allenamento per disabili proponendoli a chiunque frequentasse il centro di Stoke Mandeville. Grazie allo sport i paraplegici cominciarono a sviluppare la muscolatura delle braccia e delle spalle, raggiunsero velocemente risultati superiori rispetto alle tradizionali tecniche di riabilitazione. Lo sport, inoltre, favorì il raggiungimento dell’equilibrio e delle abilità motorie legate all’uso della sedia a rotelle, permettendo un utilizzo più efficace del mezzo di locomozione. Riattivò nei soggetti la speranza di poter raggiungere un livello di autonomia tale da poterne garantire il reinserimento sociale.

*Collaboratrice volontaria

Di Redazione di italiAccessibile

Responsabile del blog Pierpaolo Capozzi

Rispondi

Skip to content